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Corte d'Appello di Bologna > Patto di prova
Data: 08/01/2009
Giudice: Varriale
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 698/08
Parti: Y – COOPERATIVA SOCIALE ELLEUNO S.c.s.
PATTO DI PROVA – NECESSITA’ DI ANTERIORITA’ O CONTESTUALITÀ DELLA SOTTOSCRIZIONE – DIMISSIONI – FORMA SCRITTA CONVENZIONALE – INDISPENSABILE PER LA VALIDITÀ DELLE STESSE – ONERE DELLA PROVA SULL’APPLICABILITA’ DELLA TUTELA REALE – MISURA DEL RISARCIMENTO


Art. 2096 cod. Civ.

Art. 1352 cod. civ.

Art. 2 legge n. 604/1966

Art. 3 legge n. 604/1966

Art. 2119 cod. Civ.

Art. 18 legge n. 300/70

 

Il caso esaminato dalla Corte è quello di una dipendente che si è rifiutato di sottoscrivere il patto di prova dopo tre giorni dall’inizio del lavoro. Secondo la versione del lavoratore a quel punto era stato licenziato oralmente, mentre  per la versione aziendale il dipendente si era allontanato dal lavoro, dimostrando in tal modo la sua intenzione di dimettersi: tesi, quest’ultima, accolta dal Tribunale di Bologna, sulla cui sentenza si pronunciano i giudici di secondo grado.

Nell’affrontare la problematica la Corte d’Appello parte da alcuni punti fermi della giurisprudenza del Supremo Collegio, che ha sempre interpretato in modo rigoroso l’art. 2096 cod.civ: «La stipulazione scritta del patto di prova deve essere anteriore o, quantomeno, contestuale all’inizio del rapporto di lavoro…, derivando dalla mancanza di detta anteriorità o contestualità la nullità dell’assunzione in prova, con conseguente automatica ed immediata assunzine definitiva del lavoratore, non più licenziabile, se non per giusta causa e/o per giustificato motivo, ricorrendone i presupposti di fatto» (Cass. 3.1.1995; cfr. pure, tra le tante, Cass. 15.12.1997, n. 12673; Cass. 14.10.1999, n. 11597; Cass. 14.4.2001 n. 5591; Cass. 26.11.2004, n. 22308).

Il Tribunale aveva ritenuto rilevante quanto asserito dal datore di lavoro, secondo cui il dipendente era stato edotto oralmente dell’esistenza del patto di prova all’atto di espletamento delle formalità necessarie per l’assunzione, quando gi era stata data copia della relativa lettera con l’indicazione di consegnarla al datore di lavoro dopo averla sottoscritta. Precisa a tale proposito la Corte di Cassazione «ulteriori corollari di tale principio sono la irrilevanza dei motivi che possono aver indotto il dipendente a ritardare la sottoscrizione e la irrilevanza, altresì, sia della conoscenza dell’esistenza del patto che della manifestazione di consenso orale. La rigorosa interpretazione della norma di cui all’art. 2096 c.c. da parte di questa Corte è dettata dall’esigenza di evitare che la normativa pubblicistica sui licenziamenti venga elusa ed aggirata dal datore di lavoro attraverso un facile rimedio idoneo a consentire la libera recedibilità dal contratto almeno per un certo periodo anche senza giusta causa o giustificato motivo»(cfr., in motivazione, Cass. 26.7.2002, n. 11122).

Conclude sul punto la Corte d’Appello dichiarando che l’oralità della manifestazione di volontà “ne esclude la validità ai fini della stipulazione del contratto di lavoro con patto di prova. A questo si aggiunga che è onere del datore di lavoro – e non del lavoratore, come invece sostanzialmente sostenuto dal Tribunale – accertarsi che sia stato sottoscritto il patto di prova prima dell’inizio della prestazione lavorativa da parte del lavoratore” .

Prosegue la Corte osservando   che dalla circostanza del legittimo rifiuto del lavoratore di sottoscrivere il patto di prova dopo l’inizio della prestazione lavorativa non può trarsi alcuna valida argomentazione in merito alla volontà del lavoratore di recedere dal rapporto anche perché il CCNL applicato – come desumibile dalla busta paga, in cui si fa riferimento al relativo settore, e dal libretto di lavoro in cui figura annotato dalla società appellata un livello di inquadramento proprio della contrattazione collettiva – espressamente prevede che le dimissioni devono essere rassegnate in ogni caso per iscritto. I giudici bolognesi richiamano ancora la giurisprudenza del Supremo Collegio: «il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può essere risolto dal lavoratore stesso con una dichiarazione di volontà, unilaterale e recettizia (dimissioni), per la quale vige il principio della libertà di forma, a meno che le parti non abbiano espressamente previsto nel contatto collettivo (o individuale) di lavoro una particolare forma convenzionale, quale la forma scritta; in tal caso quest’ultima si presume che sia voluta per la validità dell’atto di  dimissioni, a norma del disposto dell’art. 1352 c.c. (applicabile anche agli atti unilaterali), con la conseguenza che le dimissioni rassegnate oralmente, anziché per iscritto come richiesto dalla contrattazione collettiva applicabile, non possono essere considerate valide per difeto della forma richiesta “ad substantiam”» (Cass.  13.7.2001, n. 9554; cfr. pure Cass. 25.2.1998, n. 2048; Cass. 12.6.1998, n. 5922; Cass. 22.12.1987 n. 9587; Cass. 9.10.1985, n. 4902; Cass. 27.3.1982, n. 1922).

Nè può essere trascurato che «nel caso di pacifica cessazione di un rapporto e di tesi contrapposte circa la riconducibilità della stessa a licenziamento o dimissioni, la valutazione dei possibili significati del materiale probatorio raccolto deve essere compiuta in maniera accurata e rigorosa, data la gravità delle conseguenze dell’accertamento sui beni giuridici che formano oggetto di tutela privilegiata da parte dell’ordinamento; in particolare, riguardo all’ipotesi delle dimissioni, va verificato che la dichiarazione o il comportamento cui si intende attribuire il valore negoziale di recesso del lavoratore contengano la manifestazione univoca dell’incondizionata volontà di porre fine al rapporto e che questa volontà sia stata in qualche modo idoneo comunicata alla controparte» (Cass. 26.10.1998 n. 10648; cfr. pure Cass. 11.3.1995 n. 2953; Cass. 2.6.1999 n. 5427; Cass. 13.4.2000 n. 4760; cass. 27.4.2001 n. 6132).

Rispetto al caso di specie la Corte d’Appello osserva che il lavoratore non ha mai manifestato l’intenzione di abbandonare il posto di lavoro e, sulla base di ulteriori elementi istruttori, stabilisce che il rapporto è da ritenersi cessato per effetto del licenziamento, illegittimo sia perché intimato oralmente e pertanto inefficace ai sensi dell’art. 2 legge n. 604/66, sia  comunque perch&